Stavolta l’appuntamento con Alfi e Rosa è al Passo S.Pellegrino, per un nuovo rendez-vous eno-gastro-dolomitico.
L’obiettivo ce l’avevo nel mirino da tempo, comprendeva anche qualcosa di più quanto a cammino, ma un po’ per le code durante il viaggio di avvicinamento in macchina e un po’ per il tempo incerto, ho dovuto accontentarmi.
Cielo variabile, e più passa il tempo più tende al nuvoloso. Facciamo un’ora di camminatina a passo abbastanza spedito, senza un grande dislivello, e siamo arrivati alla valletta del Fuciade. Quindi proseguiamo per un’altra mezz’oretta, in modo da far arrivare le dodici e mezza, orario fissato per telefono dalla padrona, e ne approfittiamo per scolpirci negli occhi il bel panorama delle Pale di S.Martino e dei Lagorai di fronte a noi.
Il rifugio è pieno zeppo. Lo chiamo rifugio, ma ormai del rifugio non ha molto... Complice anche la bellezza del posto, in mezzo ai pascoli sotto le roccette della Cima d’Uomo, e la facilità di arrivo a quota 2000, è più ristorante, ristorante di alta cucina e di tradizione montana rivisitata, meta continua di tantissima gente.
Da bere due acque gasate e una bottiglia di Marzemino d’Isera, scelta da Alfi, etichetta verde 2008, 12,5 gradi, derivato da vendemmia selezionata. Il colore è rubino, il profumo intenso e delicato, con lontano sentore di viola ( ... ), il gusto armonico ed equilibrato.
Ci portano anche il pane, eccellente quello bianco, morbidissimo, fatto in casa dallo chef, su cui si butta subito Alfi (sul pane eh... ).
E’ buonissimo anche il pane nero, portatoci in due diverse fogge, pieno di semini di finocchio una volta e di semini di altro genere che non ricordo un’altra volta, dopo il rabbocco del cestino.
Io e il falchèto ci dividiamo i due primi e anche il secondo che abbiamo preso assieme.
Cianoncì-e, se ben ricordo si chiamano così... sono dei ravioloni di pasta fatta in casa molto bene, ripieni di pere selvatiche e fichi, con burro fuso e niente grana. La cottura è perfetta, anche nelle giunture, e la pasta è di grano saraceno o segala o comunque farina integrale. Squisiti, gustosissimi, particolari.
Dentro, il locale è molto bello, tutto in legno lavorato, con suppellettili artistiche legate sempre alle lavorazioni artigianali della zona, appoggiate sui davanzali o incassate in vetrinette dentro nicchie nei muri.
Il nostro tavolo ha un sottotovaglia di un qualche tessuto giallo che dà sul lucido (raso?...) e una tovaglia a scacchetti bianchi e verde bosco.
Fa molto caldo, il soffitto è basso, la gente è tanta e i tavoli sono parecchio vicini. Forse una distribuzione dei posti un po' meno speculativa non guasterebbe.
I “fagot da mont” sono il secondo primo e sono saporiti tortelli di mirtillo nero e brasato di cervo, guarniti da un buonissimo sugo di selvaggina, mirtilli e lamponi freschi. La pasta, oltre che essere di farina integrale è anche mescolata ad erbe non so quali, credo, perché la loro colorazione tende al giallo verdognolo ed il gusto parrebbe confermarlo. Straordinari, ottimo accostamento di sapori.
Come avrete notato, lo chef avvicina spesso il dolce al salato.
Un po’ lento il servizio, nonostante l’impegno dei camerieri. D’altronde la quantità presente di persone era (ed è sempre) notevole... tutto pieno (almeno un duecento coperti) e tripli turni (io avevo prenotato e quindi ci siamo seduti belli tranquilli, ma c'era gente sconvolta che arrivava lì alle 13,45 e si sentiva rispondere che dovevano aspettare fuori finchè si liberava un tavolo).
Il nostro secondo era petto (più cosciotto) di faraona con speck, carote lesse e saltate a spicchietti, assieme ad un fiore di cavolo e fagiolini, polenta di Storo (località del Trentino dove si fa questa polenta di una varietà un po’ particolare), spinaci saltati con uvetta passa. Tenerissima la faraona e anche molto saporita. Piatto eccellente.
Noi due abbiamo poi concluso con una fettazza di torta alla ricotta in due, veramente deliziosa, fatta in casa da loro, quantità giusta.
Alfi ha mangiato, diversamente da noi, spaghetti alle patate con fonduta e tartufo (che mi sono parsi molto buoni), mentre Rosa di secondo ha preso polenta, salsiccia, formaggio e funghi, con la salsiccia che è stata lasciata lì non solo da Rosa, ma anche da Alfi, ed è tutto dire...
Loro hanno poi preso due dolci. Per Rosa una Sacher rivisitata, cioè una fetta di Sacher, non molto grande, con una tazzina di cioccolato fuso a fianco (il prezzo di 9 euro non valeva secondo me questo dessert, noi per la fettazza di torta alla ricotta abbiamo speso 4, prezzo giusto).
Per Alfi: sorprese dello chef... e un paio di sorprese non sono state... tanto gradite, una gelatina ai frutti di bosco (un po' troppo solida), una mousse bicolore cioccolata e crema (buona a sentire lui), crema catalana (ugualmente buona), rivisitazione dello strudel con pasta a filo, così così...
Considerata la lentezza precedente, abbiamo pensato di ordinare anche il caffè, per Alfi e Rosa, non appena ci hanno portato i dolci...
... ma porca vaca! il caffè stavolta lo hanno portato immediatamente, col doppio sorriso (pensando di aver fatto finalmente presto ) così i nostri amici se lo sono dovuto bere a colpi, con il dessert, e forse anche tiepidino alla fine...
Io e Marta abbiamo speso 29.75 euro a testa. I prezzi tendono al caretto, anche se la cucina vuole essere di alta qualità (e quasi sempre lo è... quasi...).
Per me e mia moglie il locale si piazza tra un quattro e un cinque.
Però teniamo conto anche della non completa soddisfazione dei nostri amici, della lentezza del servizio e dell’ambiente un po’ soffocante, e quindi scendo a tre e mezzo. Dovendo scegliere, opto per il quattro, perché questo tipo di cucina è di un livello molto superiore a quella di una tipologia di ristorazione da tre cappelli.
E rimane un cinque potenziale, da visitare almeno una volta (magari non in agosto).
Grazie per la compagnia ad Alfi e Rosa, vi prego di integrare se lo ritenete... e alla prossima ancora!
Consigliatissimo!!
[golosona]
12/08/2011