La macchina del tempo esiste davvero !!!
E non lo dico solo perché mi sono ricordato di una recensione che l’ottimo Maurig ha scritto ormai quasi due anni fa ma in quanto entrando da Liberio si ha l’impressione di fare un tuffo nel passato (soprattutto per quanto attiene al conto !!!).
Veniamo al sodo.
Trovandoci a trascorrere la fine del 2017 in quel di Cervia (Zirvia nell’idioma locale), il 30 dicembre mia moglie ed io decidiamo di provare il “Bar Liberio”: uno squillo per avere conferma che il locale è aperto e ha posto per due a cena e… via che si parte.
Il navigatore non ha difficoltà a farci trovare il posto dove ci presentiamo puntuali e, attraversando l’ampia sala biliardi, troviamo il nostro tavolino che ci aspetta in una saletta già parzialmente occupata da una giovane coppia con una bimba e da un vociante coatto con la sua compagna.
Il tavolo è apparecchiato con semplicità: un bicchiere a testa, posate in metallo, tovaglia/tovaglioli di carta, non privi comunque di una sobria eleganza, in quanto coordinati e stampati con i motivi – in color ruggine – tipici delle telerie romagnole. Al centro troneggia una bottiglia di vino rosso “de la maison” che si rivelerà un sangiovese ruspante ma gradevole, destinato ad essere “chiarito” sino all’ultima goccia.
Io so già cosa ordinare ma, per lasciare spazio anche alla moglie mi adeguo a un bis di tagliatelle al ragù (chi l’avrebbe mai detto ???) e ravioli ( ricotta e spinaci) burro e salvia.
Dopo breve attesa ci vengono portati due piatti – vuoti ma caldi (imparate ristoratori, imparate…) – seguiti da una fiamminga con il bis di primi, in quantità tra l’abbondante e il pantagruelico.
Qualità ottima, anche se le tagliatelle le preferisco più sottili; nulla da obiettare sul ragù.
A seguire, posto che non cucinano secondi piatti ordiniamo un tagliere da una porzione di affettati, pecorino, squacquerone (speriamo che si scriva così…) e fichi caramellati, il tutto accompagnato da una calda piadèina (il cibo degli Dei, secondo una celebre gag di Aldo, Giovanni e Giacomo).
Orbene, il concetto di singola porzione dev’essere diverso tra la Romagna e l’Emilia, visto che dal tagliere abbiamo attinto entrambi con abbondanza e soddisfazione: molto buoni prosciutto, salame e coppa e stellare l’abbinamento tra squacquerone e fichi caramellati !!!
Saremmo stati a posto così, ma come rifiutare le mini meringhe alla mandorla e gocce di cioccolato che vengono portate di default a fine pasto ???
Per finire ordiniamo due Amari del Capo, ispirati dal coatto che declama con voce stentorea che “è er mejjo amaro che ce stà”. Ci viene lasciata sul tavolo la bottiglia.
Morale: è giusto attribuire 5 cappelli a un bar/tabacchi di campagna in stile anni ’60 ?
Secondo me si, vista la qualità delle vivande, la cortesia del servizio ed il conto di 15 euro a cranio: il giudizio che do a un locale si basa sulla sensazione complessiva che ne ricavo, più che da (fredde) considerazioni o calcoli sui singoli aspetti. Quindi: grazie Maurig per la dritta. È proprio un locale da provare finché c’è.
Dimenticavo: abbiamo ordinato anche una bottiglia di minerale gassata che è rimasta quasi piena e che ci riproponevamo di portare in albergo per eventuali esigenze idriche notturne. Invece è stata lasciata sul tavolo ma la digestione è andata bene comunque, a riprova che i 5 cappelli ci stanno tutti.
Imperdibile!!!
[norby]
04/01/2018