L'ANTEFATTO
Era tempo che visitassi Joia, il celebrato ristorante gastronomico vegetariano (ma dopo un inizio più rigoroso si è aperto al pesce) di Pietro Leemann, chef di nomea non solo italiana ma europea. Era tempo innanzitutto per un motivo molto semplice e banale: è la stella Michelin fisicamente più vicina a casa mia, oltretutto vicinissimo al mio amato ristorante Lon Fon e proprio accanto al ristorante indiano dove vado più spesso, poi perché è un ristorante molto celebrato per una cucina estremamente personale e innovativa, celebrata da molti appassionati sparsi per tutta Europa, vegetariani e non.
Leemann è uno chef cerebrale, che teorizza molto, ispirandosi alle discipline ayurvediche indiane, all'antroposofia steineriana, e in particolar modo ai precetti di Yuan Mei, gastronomo cinese del XVIII secolo, del quale Leemann ha anche commentato l'edizione italiana del testo “Il piacere della tavola nella cucina antica e oggi - La cucina di Villa Suyuan”, che pare rivesta nel mondo cinese un'importanza paragonabile a quella della “Fisiologia del Gusto” di Brillat-Savarin in occidente.
Molti degli estimatori della cucina di Leemann condividono, ovviamente, la sua scelta vegetariane e i suoi orientamenti filosofici; io no, ma da tempo ero incuriosito dalla sua cucina. Io e la mia compagna non ci risolvevamo ad andarci per mancanza di un'occasione: generalmente giriamo per ristoranti gastronomici quando siamo in vacanza, e a Milano, se usciamo a mangiare, ci orientiamo sugli etnici; a un ristorante dalla spesa intorno ai cento euro a persona non ci si va scegliendo all'ultimo momento, tanto più che il loro sito internet ammoniva di prenotare con almeno una settimana d'anticipo.
L'occasione è stata fornita dal desiderio, piuttosto stupefacente, del mio datore di lavoro di provare questa cucina; stupefacente perché si tratta di una persona anziana, che a suo tempo ha girato per ristoranti di famosi cuochi, ma dimostrando un certo conservatorismo in cucina… la curiosità, un capriccio della vecchiaia l'ha portato, sapendo che io sono un frequentatore di ristoranti gastronomici, a chiedermi di prenotare per noi con le rispettive signore da Joia, considerato anche che in questo periodo abbiamo da festeggiare la conclusione di un grosso lavoro cui ci siamo dedicati negli ultimi mesi.
Ecco dunque le circostanze che ci conducono a vedere se da Joia si può trovare gioia per il palato, e ora che siete arrivati fin qui posso confessarvi che ancora non lo so, giacché queste righe di antefatto sono state scritte prima di provare il ristorante, per portarmi avanti col lavoro.
CHE SIGNIFICA DUE CAPPELLI?
E ora che ci sono stato sono in dubbio: data l'esperienza non molto soddisfacente, ma non certamente negativa, mi verrebbe quasi da non pubblicare alcuna recensione, ma ormai ho fatto mettere la scheda sul sito, ho iniziato a scriverla, e si tratta sempre di un ristorante molto famoso: magari servirà a dare qualche informazione a qualcuno che aveva sentito parlare di questo locale. Per la valutazione ho deciso di assegnare due cappelli, proprio giocando sull'ambiguità di questo punteggio di cui in questo periodo sul sito si discute: indubbiamente quello che abbiamo mangiato era buono, nel senso che gli ingredienti erano di alta qualità (con forse qualche eccezione) e certo non assemblati a caso, ma molti dei piatti non sono stati graditi, e l'insieme non è stato pienamente soddisfacente, a fronte di una spesa decisamente importante. Ecco quindi quel “buono” che sembra contenere in sé un “ma”, anche perché non mi sento di dare il terzo cappello e conseguentemente consigliare a tutti un ristorante simile, resta inteso che se siete vegetariani potete immediatamente alzare il voto a tre cappelli, se non quattro, perché, come vedremo, le maggiori perplessità provengono dai piatti di pesce.
Un elemento da prendere in considerazione è che il lunedì potrebbe non essere il giorno migliore per provare un ristorante, in particolare per quanto riguarda, appunto, il pesce. Purtroppo la data è stata scelta tenendo in considerazione i vari impegni, e il lunedì è risultato essere il giorno più comodo.
La cucina di Leemann meriterebbe sicuramente un'altra occasione di valutazione: la vicinanza lo permette senz'altro, i prezzi un po' meno; in fin dei conti restano tre ristoranti stellati solo in Milano città che non ho mai provato. Vedremo.
IL LOCALE
Il ristorante si espande tutto in profondità, su strada sono solo “due luci”, dopo l'ingresso e le toilette sulla sinistra abbiamo la sala, cieca, senza finestre, e in fondo deve trovarsi la cucina. Le pareti sono ocra, con una decorazione a blocchi di legno chiaro a circa un metro di altezza, il nostro tavolo da quattro era addossato a una parete coperta da un grande specchio che dava un'illusione di maggior spaziosità. Il nostro tavolo era tondo, quelli da due quadrati, numerose tovaglie di buon tessuto, quella in cima era molto fine, ma devo segnalare la presenza di briciole o qualcosa di simile che creavano dei piccoli rigonfiamenti tra una tovaglia e l'altra; sottopiatti in vetro, posate d'argento cristalli Spiegelau, niente piattino per il pane. A ogni tavolo c'era una sorta di vaso, o una struttura più essenziale, in metallo, con fiori di carta e stoffa, molto eleganti (per intenderci, non quelli che fanno finta di essere veri, ma del tipo stilizzato un po' orientale). Illuminazione discreta, assicurata da lampade a stelo di fiore pendulo, e da altre luci mimetizzate, sparsi per la sala, carrelli e vetrine espongono bottiglie di amari e distillati, dai più banali ai più ricercati. La carta è composta di molte pagine, in copertina dei fiori di ciliegio, ma ho il sospetto che l'immagine sia stagionale e quindi in questi giorni la cambino. Dentro, un po' di chiacchiere sulla filosofia di Leemann, molti menu a vario prezzo, compreso il menu di pesce da cui si possono scegliere anche i singoli piatti, e poi l'elenco delle pietanze vegetariane, corredato da simboli per indicare i piatti che contengono formaggio, glutine, uova e così via; prezzi compresi anche per le signore, e apprezzabile l'indicazione della possibile scelta di due diverse degustazioni di tre calici per accompagnare i menu, a 15 e a 30 euro a persona a seconda della struttura dei vini. La carta dei vini è invece rilegata in (finto, vegetale, suppongo) cuoio, molto ampia e piena di vini carissimi con anche delle proposte più abbordabili, è corredata anch'essa da simboli esplicativi che non ho decifrato, le ho potuto dare comunque solo un'occhiata.
IL CIBO E IL MODO DI SERVIRLO
I camerieri sono quasi tutti uomini, giovani, vestiti di nero; il caposala è un fiorentino dall'accento marcatissimo, gentile. La presenza dei nostri ospiti più anziani che offrivano condizionava la scelta, non tanto per il costo, ma per il numero di portate, infatti essi non volevano stare troppo tempo a tavola, e quindi abbiamo preso tutti due piatti più un dolce per me e la mia compagna.
Prima di tutto come benvenuto ci hanno portato un assaggio di finto carpaccio: al posto della carne, sotto il parmigiano, il pepe e l'aceto balsamico c'erano delle rosse fettine di anguria, carino, ma non buonissimo, la mia compagna ha avuto da ridire sul sapore del frutto. I nomi dei piatti sono tutti molto fantasiosi e lunghi, io ho preso un antipasto un'insalata tiepida di frutti di mare (la carta che si può leggere sul sito non riporta i piatti di pesce, e non ricordo il nome), con capesante arrostite, un involtino di scampi, asparagi insalatine e frutta, non male; la mia compagna ha preso uno dei piatti più famosi di Leemann, “un sasso rotola”, che nella versione del menu di primavera è “una sfera croccante di fonduta e erbe, salsa allo zafferano”, accompagnata da quenelle di zucchine e pomodoro: il piatto viene inclinato e il “sasso” fatto rotolare nella salsa, piuttosto buono. Come secondo io ho preso “aspettando Bras”, verdure al vapore con aceto balsamico e mousse all'aglio ursino, buona quest'ultima, insoddisfacenti le verdure, infelice l'accostamento dei piatti, avrei dovuto prendere un primo, ce n'erano che parevano appetitosi; “prima del digiuno” per la mia compagna: verdure risottate con una riduzione di yogurt, fresco e leggero ma insoddisfacente.
I nostri anfitrioni non erano troppo entusiasti neppure loro: il mio boss ha spazzato via del riso alla persiana con crostacei (che però deve essergli piaciuto abbastanza) e poi, mi pare, “verso un piacere rassicurante”, delle verdure con parmigiano e condimenti vari, anche quelle ingurgitate senza lamenti ma senza entusiasmi; più interessante, nel bene e nel male, quello che ha preso sua moglie: prima una sorta di ratatouille di pesce e verdure con sopra dei tagliolini croccanti, piatto che ha gradito molto, e poi dei filetti di pesce san pietro (cotto) in alga nori, con delle verdure grigliate piuttosto spartane, senza il minimo condimento. Siccome il piatto non le è piaciuto per niente e l'ha avanzato, abbiamo assaggiato un rotolino di pesce a testa io e la mia compagna (per la prossima recensione devo trovare un nickname anche per lei): io l'ho trovato poco interessante, e lei decisamente cattivo, caratterizzato dalle ammine del pesce non perfettamente fresco, forse i filetti provenivano da pesci diversi, oppure c'erano stati problemi di conservazione.
Da bere è stata scelta, su consiglio del caposala, una bottiglia di Pinot nero Linticlarus dell'azienda Tiefenbrunner, Alto Adige, 2005, molto gradevole.
Dopo di che un caffè e una tisana per gli “anziani”- molto bella la carta delle bevande calde, con numerosi caffè, una scelta non banale di tè e parecchi infusi, sulla copertina è scritto, in giapponese, “nomu”, bere… io avrei scritto “nomimono”, bevande- e due dolci per i “giovani”: un dolce tutto giocato sui ricordi infantili, quasi regressivo (spuma di zabaione in un bicchiere di plastica con Titti e Silvestro, presenti anche sul piatto che proponeva panna cotta con biscotto Plasmon, cartelletta con la marmellata e gelato al latte), e il più interessante “le fragole si specchiano nel lago, con cioccolato, menta, argento e cannella”, il lago essendo una gelatina al Torcolato; da bere due calici di un buon vino dolce naturale non filtrato veneto.
Piuttosto ridicola, di fronte alla richiesta di un dolcificante per il caffè (il mio datore di lavoro è diabetico) l'affermazione: “non l'abbiamo, è contrario alla nostra filosofia”: si è capito che siete “alta cucina naturale”, ma non vi chiediamo di usare il dolcificante nei piatti, solo di portarlo, fosse anche un po' di nascosto, a chi lo chiede. Da ultimo un piacevole bicchierino di succo di ananas con una sorta di biscotto morbido farcito (quasi un raviolo) alla banana e cioccolato.
IL CONTO E LE ULTIME RIFLESSIONI
Il pranzo è costato in tutto 326 euro, che non sono certo pochi: 34 per la bottiglia di vino, non più di venticinque per caffè, tisana, vino dolce al calice e due bottiglie di acqua, il resto per il cibo; pagato con un assegno, per il quale non hanno fatto storie né chiesto documenti alla signora (lui viaggia senza denaro), in questo dignitosi e discreti, come si chiede a un posto del genere.
Con la stessa cifra si può mangiare molto di più, e magari anche meglio, magari non in quattro un ristorante stellato in una grande città, però ci sono stati alcuni scivoloni che con la stella male si accompagnano.
Probabilmente in parte è anche colpa di scelte poco armonizzate, penso sempre che di un ristorante del genere vada provato anche un menu intero, per vedere come lo chef intende la costruzione di un pasto; a mezzogiorno in settimana (qui la chiamano colazione, proprio come la nostra ospite, alla cui tavola sono quasi sempre a colazione finito il lavoro con il marito) è presente un piccolo menu affari a 17 euro bevande escluse, un prezzo davvero interessante, potrei tornare a sperimentarlo proprio su quello.
Tutto sommato un'esperienza molto inferiore alle aspettative, ma non una bocciatura definitiva, un'altra chance la merita, certo non mi sento però invogliato ad andare a provare il menu degustazione più ampio a cento euro…
Buono
[GROG]
22/06/2008
Ad ogni modo sono rimasto scandalizzato dalla loro 'filosofia'. Sono diabetico anch'io, ed è la prima volta che sento una cosa del genere. Il tuo capo è un vero signore, io mi sarei alzato e me ne sarei andato senza pagare, denunciandoli per discriminazione e consigliando loro di affiggere un cartello davanti al locale: VIETATO L'INGRESSO AI DIABETICI.
:)